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Drauzio Varella
"Estao Carandiru" (Companhia das Letras) |
Anche se non facile trovarlo e, comunque, esiste soltanto in lingua
originale, mi sembra importante segnalare il libro Estao Carandiru,
pubblicato dalla Companhia das Letras e scritto dal medico brasiliano
Drauzio Varella. Alla fine di febbraio i giornali hanno riportato
la notizia della ribellione delle carceri brasiliane: ventiquattro
prigioni si sono sollevate contemporaneamente, collegate con telefoni
cellulari al pi grande carcere dellAmerica latina, il Carandiru
di So Paulo: |
i morti sono stati 15, cinquemila
gli ostaggi tra i famigliari in visita. Anche per chi conosce
il sistema carcerario italiano, difficile capire come
possano verificarsi situazioni simili. Ma Carandiru, progettato
negli anni 20. ospita 7200 persone, circa tre volte la
capienza prevista, il personale di sorveglianza pochissimo
e non armato, le armi che girano in carcere sono molte ma
non legali, le violenze e le vendette sono allordine del
giorno, tra detenuti e con le guardie penitenziarie, la
posizione sociale dei detenuti e di molte guardie molto
bassa come dimostra la targa posta da un vecchio direttore
che trascorse molti anni dirigendo questo carcere: E pi
facile per un cammello entrare nella cruna di un ago, che
per un ricco entrare in una casa di detenzione. Povert,
malattia, vecchi e nuovi rancori, droga, debiti contratti
dentro o fuori dal carcere, sono gli elementi scatenanti
di una continua violenza. Le visite sono concesse nelle
giornate di sabato e domenica e nei giorni festivi (in Italia
ci non avviene, le visite dei parenti sono concesse dal
luned al sabato e soltanto se non sono giorni festivi)
e la grande massa di persone che si riversa nel carcere,
nelle mense, nelle sezioni, nelle celle non pu essere interamente
controllata e cos, assieme ad abiti, alimenti ed altri
oggetti concessi, entrano armi, droga, telefoni cellulari.
I pochi addetti al controllo, inoltre temono le mafie interne
e molti, visti anche i bassi stipendi che percepiscono,
sono corrotti. Drauzio Varella lavora a Carandiru dal 1989:
ha iniziato come volontario in un programma di prevenzione
dellAIDS, ha continuato a lavorare negli anni successivi
come medico carcerario, in strutture assolutamente inadatte
al lavoro che deve svolgere, di fronte, molte volte, a malattie
che lo stesso sistema carcerario a provocare: ferite,
infezioni, dermatiti, obesit. Ha conosciuto i vari padiglioni,
le celle di isolamento, ha seguito levoluzione in questi
anni, ha visto quanto sia lontana la realt da quello che
ci fanno vedere nei film in cui si parla di carcere. Ha
conosciuto persone di ogni genere, dai pi ricchi (di solito
grandi spacciatori) che comprano le celle ed affittano posti
letto, ai pi poveri che sono costretti a dormire sul pavimento
di enormi stanze comuni. Ha toccato con mano la diffidenza
dellistituzione carceraria nei confronti dei volontari:
Allinizio ebbi limpressione che i funzionari non si fidassero
di me. Dopo ne ebbi la certezza. [] Di fatto alle guardie
di presidio non piacciono le persone estranee allambiente
di lavoro. [] I militanti delle associazioni di difesa
dei diritti umani e la Pastorale carceraria della Chiesa
cattolica sono generalmente malvisti. Ha incontrato persone
detenute con cui sono nati rapporti di fiducia, di rispetto
reciproco, di fiducia e di amicizia, soprattutto tra i suoi
pazienti e tra i detenuti che hanno lavorato con lui (posti
di lavoro, in carcere, sono pochi e molto ambiti: ogni tre
giorni di lavoro si ha diritto ad un giorno di sconto sulla
pena). Varella racconta i lunghi anni trascorsi a Carandiru
attraverso le parole dei detenuti, il gergo, i meccanismi
interni ed esterni della societ, che lentamente riesce
a decifrare. La voglia di vivere e la paura di morire, la
solidariet e il codice comportamentale, il lavoro e lo
sport, le spietate vendette e la sottile ironia nel battezzare
FIFA (Federao Interna de Futebol Amador) il gruppo che
dirige tutta lattivit calcistica interna, sono descritte
nel libro con lappassionato atteggiamento che spesso nasce
in chi lavora come volontario in carcere. Sono ancora i
detenuti, attraverso le pagine del libro di Varella, a raccontare
il massacro del 2 ottobre del 1992: 111 morti secondo la
versione ufficiale, pi di 250 secondo i detenuti (e neppure
una guardia o un militare): un momento di assurda ferocia
giustificato dal bisogno di porre fine ai disordini interni.
Da Carandiru, i detenuti che riescono ad uscire per fine
pena o per evasione (sono molto frequenti), sono pi feriti,
pi amareggiati, pi sfiduciati di quando sono entrati.
Portano con s un carico di dolore, di rabbia, di malattie,
di debiti e di crediti fisici e morali contratti tra le
sbarre, che gli garantiranno una vita sicuramente pi difficile
di quella precedente alla detenzione. La stessa cosa succede
in tutti i carceri del mondo ma proporzionale alle condizioni
in cui si sono trascorsi quegli anni. E Carandiru un vero
inferno
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