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Gabriele Polo "Il mestiere di sopravvivere"
Qualche mese fa la FIAT ha celebrato i suoi 100 anni: ci sono state cene di lusso, convegni, mostre, saltimbanchi in Piazza San Carlo per omaggiare limpresa che ha fatto la Torino del 900 [] Antonio S. ha continuato a prendere il tram, entrando e uscendo dalla fabbrica a intervalli regolari, chiedendosi dove fosse la festa, leggiamo nel libro Il mestiere di sopravvivere di Gabriele Polo, pubblicato dagli Editori Riuniti.

E scopriamo che Antonio S., a Torino, la citt fabbrica pi grande dEuropa, pu essere considerato un fortunato: un posto sicuro, un contratto a tempo indeterminato, la prospettiva della pensione, i periodi di malattia regolarmente pagati, sono diventati un sogno per molti. La riduzione dei costi, obiettivo che la FIAT ha perseguito seguendo varie vie, ha voluto dire, per la citt di Torino, sempre meno occupazione, precariato, disoccupazione, aumento del lavoro nero, disagio e abbassamento delle condizioni di vita. Flessibilit del lavoro, sicurezza dei cittadini. I governi europei si concentrano su questi due obiettivi senza tener presente che il principale grado di insicurezza [] provocato proprio dallaccentuarsi della flessibilit, dal venir meno delle reti di protezione sociale che avevano caratterizzato la civilt europea: sicurezza dimpiego stabile, di assistenza pubblica, di previdenza certa. Il libro di Polo un viaggio allinterno di una citt che in pochi anni ha subito una profonda crisi. Troviamo coloro che sono stati espulsi dalla fabbrica, quei quadri che con la fabbrica si erano identificati, che nellobbedienza ai superiori e nel controllo sugli inferiori avevano pensato di creare la propria sicurezza: oggi continuano a fare lo stesso lavoro, guadagnano pi o meno come prima ma hanno dovuto diventare imprenditori di se stessi, inventare piccole ditte con pi spese e meno garanzie. Ma troviamo soprattutto coloro che ogni giorno cercano di sopravvivere, lanciandosi in nuove professioni ma gi temendo il loro invecchiamento e la propria inutilit, coloro che campano da anni tra contratti di formazione-lavoro, lavori part time, interinali, temporanei, in affitto, grazie a borse lavoro o contratti darea o cooperative sociali, tra donne che devono rinunciare a progetti di maternit incompatibili con un sistema di lavoro che prevede la presenza continua. E troviamo chi costretto al lavoro nero, pochi soldi e grandi ricatti, insicurezza per il presente e per il futuro. Al dissanguamento occupazionale non corrisposto un calo della produttivit e dei profitti aziendali, anzi. [] A partire dal 1980 chi ha avuto la fortuna di non essere espulso da officine e uffici ha lavorato di pi, guadagnato di meno, spesso si chiuso in se stesso, ha abbandonato le lotte sindacali, ha accettato condizioni che soltanto qualche anno prima sembravano impossibili. Il trasferimento di parti della produzione nei paesi pi poveri e personale precario ed esterno fanno sentire la sicurezza in pericolo: amici, parenti se ne sono gi andati, i figli non possono pensare ad una vita autonoma, il silenzio e lobbedienza sembrano lunica strada percorribile. Lontani anni luce i cortei, le latte usate come tamburi, gli scioperi, oggi Torino guarda gli immensi capannoni vuoti e inutilizzati, la paura nei volti degli adulti, la speranza frustrata in quelli dei giovani e non riesce a fare nulla per invertire la tendenza al definitivo.

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