|
|
Work discussion UN MODELLO PER LE REGOLE ?
Interlocuzioni e risposte di Germana De Leo ( neuropsichiatria infantile
Nel gruppo ci si chiede se le regole siano calibrate alle varie età in cui vengono proposte/imposte ufficialmente.
Modelli etici e scuola…..l’ esperienza di modelli e più efficace dell’imposizione delle regole?
G. De Leo “….Pocanzi parlavate di sicurezze perdute nel rapporto con il bambino, penso che comunque nell’epoca attuale, il rapporto genitori figli , rispetto al passato, sia andato migliorando: le relazioni intra-famigliari si sono maggiormente diversificate ed arricchite in comunicazione ed affettività, ed è proprio questo arricchimento che rende più complesso il percorso di crescita dell’individuo moderno, più fragile la struttura famigliare , più problematica la gestione delle singole individualità nella famiglia e nel sociale.
Il problema dell’etica di cui tanto parliamo anche in questo gruppo, si gioca innanzi tutto nel microsistema in cui ognuno vive…
Sicuramente nella costruzione del Sé di un bambino, di un adolescente, di un adulto-al di là delle famiglie che hanno avuto- le esperienze vissute restano impresse e fanno parte delle costruzioni inconsce ideali e/o idealizzate.
Ad esempio il senso della solitudine, il vissuto /esperienza del non essere capito, del non essere riuscito ad esprimersi, che risalgono all’età infantile anche molto precoce, sono inscritti profondamente in ciascun individuo Quando si diventa genitori queste esperienze e vissuti “lievitano” e danno origine a una particolare lettura della realtà e determinano un tensione all’agire verso e per l’altro, il figlio.
Ad esempio si cerca inconsciamente di evitare al figlio ciò che non è stato possibile evitare a se stessi quando si era piccoli. o di offrirgli ciò che non si è avuto.
Quando un genitore dice al figlio:”Scegli tu” è proprio un “lassista” ?
E se questo atteggiamento nascesse da un’inconscia paura, e si agisse per evitare di fare del male al figlio?
Molti comportamenti sono “doppi”…..si pensi al moralismo con cui si giudica una mamma che partorisce e abbandona il figlio. Attraverso i casi clinici, sappiamo che molte di queste madri abbandonano i figli per una sorta di “amore” “altruismo”, perché sentono che non avranno la possibilità di accudire adeguatamente al proprio bambino.
E’ chiaro che si tratta di uno “splitting” tra motivazione e condotta sociale, ma la motivazione interna è di rispetto e cura, che in quel momento non possono essere offerti, non sono sostenibili emotivamente, da madri fragili, non necessariamente diagnosticabili come “patologiche”.
Al di là di questo caso limite, molti atti dei genitori hanno la stessa caratteristica cercare di dare al figlio di più e di meglio, avendo anche timore che il figlio ripeta i propri errori, le proprie fatiche e questa preoccupazione invece di suscitare maggiore comprensione, e maggior disponibilità a riflettere con e su i figli e sé stessi, (attenzione educativa) li fa invece agire in modo inadeguato, conflittuale.
I processi inconsci che si proiettano nelle singole azioni educative. fanno assumere facilmente degli atteggiamenti contraddittori ….per cui ad esempio si lascia il bambino scegliere ad oltranza, tranne quando poi non se ne può più ed allora si impongono limiti rigidi, interrompendo l’illusione di “donatività” tra genitore e figlio….
Allora il problema non è quello di vedere la regola come qualcosa che dà sicurezza , perché mi autorizza ad agire; ma come percorso interno in cui il bambino mobilita tutti i vissuti che “recepisce” dai suoi genitori…nel clima affettivo e contingente di quella sua famiglia ……Hanno un bel dire mamme, ed educatori , sollecitando i bambini ad esempio “Quando incontriamo qualcuno saluta!” …ma se il bambino in casa sua sente il padre sbuffare quando il campanello suona e teme di essere disturbato, se sente la madre far finta di essere cortese al telefono ma intanto la vede abbozzare impazienza….. la coerenza di cui si parlava dove la coglie ? perché non può esprimersi anch’egli? E così il ragazzo si permette , come individuo, come “essere individualista” che cerca soluzioni e conferme che non trova, di trasgredire, di opporsi. In effetti sta solo cercando di adeguare il comportamento a quello dei genitori (adulti)
Forse non teniamo sufficientemente in conto quanto il bambino sia autonomo, nonostante le regole che gli si impongono e i comportamenti che gli richiediamo .
Ritornando a quanto si chiedeva la D.S. : “ Come sono passate queste regole tra genitori e figli che ora sembrano funzionare adeguatamente? “ quel che passa è merito effettivamente di tutti i soggetti significativi nella vita del bambino- figlio .
Se un figlio non ha grossi problemi, possiamo dire che è merito della sua famiglia, del suo entourage…ma nel procedere, è egli stesso il primo attore : il bambino si da’ regole da solo, decide di accettare o no quelle che gli vengono proposte/imposte, le “ adatta “a se stesso in base al tipo di idea e vissuto che si sta costruendo .
Vi sono età in cui questa risonanza gli consente di adeguarsi alle regole esterne , altre in cui invece non può adeguarsi, per difendere la propria individualità .
Per assurdo per un bambino la regola potrebbe non esistere, perché è la sua interpretazione individuale dei messaggi complessi, semplici, chiari, sfumati che gli trasmette l’ambiente famigliare, e le figure di riferimento , che determina il suo modo di comportarsi (agire -acting in/acting out).
Quindi è prevalentemente il microsistema relazionale che origina i valori.
Ma allora che cosa può fare l’insegnante? L’insegnante è l’allungamento e parte di questo microsistema, specialmente nelle scuole materna e dell’obbligo dai 3 ai 14 anni, e quindi agisce con modalità analoghe a quelle delle figure genitoriali . Si tratta ancora e sempre di porsi nella scuola, nella relazione educativa in termini dialoganti, consapevoli dell’esempio che rappresentiamo per i figli e gli alunni.
(N.d.R. estratto da verbali di registrazione del seminario
|