E' un'immagine falsa, una paura irra-gionevole, dicono in molti.
Un'immagine da sconfiggere,da riportare alla realtà, se si vogliono
porre le basi per una so-cietà multietnica che funzioni. E che non
sarà una scelta, ma una necessità storica.
Che l'immagine comune degli extracomunitari sia falsa, fuorviante,
è convinto anche Fredo Olive-ro, uno che alla Caritas torinese vive
con costanza il suo impegno a favore degli immigrati più biso-gnosi.
Un impegno che lo ha portato a conoscere a fondo il problema, a
vederne i contorni interna-zionali e le vie di sviluppo. Per lui
l'immigrazione è una realtà ineluttabile. Ma sarebbe sbagliato pensare
all'immigrato solo come al disperato che sfugge la miseria.
"Nell'immaginario collettivo, l'immigrato è il disperato, il
povero, l'affamato, il lavavetri, l'ambulante, il disoccupato, la
prostituta. Tutto questo ha aspetti di verità, ma riguarda fasce
mar-ginali o certi gruppi, mentre oggi l'immigrato è per lo più
uno che nel paese d'origine ha un lavoro e una casa. Un giovane,
uno che nel suo paese apparteneva alla classe media, che non viene
per di-sperazione, ma perché non vede nel proprio paese possibilità
reali di prospettive, di ascesa sociale, di libertà, di accesso
facile ai consumi, di sogno occidentale".
- E' una situazione che riguarda anche Torino, diventata per molte
cronache una città alle prese con enormi problemi dovuti all'immigrazione
extracomunitaria?
"A Torino l'immigrazione si presenta con due volti: quello della
stabilizzazione, dell'inserimento nel tessuto socio-economico e
dell'integrazione cittadina e quello dell'emergenza, dell'emarginazione,
dello sfruttamento e della marginalità. Troppo spesso si parla solo
di questo ultimo aspetto, e non dell'aumento del numero dei collocati
nell'industria e nel terziario, dell'assistenza e della cura garantita
da centinaia e centinaia di donne filippine, peruviane, ma an-che
rumene, dell'aumento dei lavoratori autonomi e della crescita dell'imprenditoria
etnica, dell'aumento di famiglie e delle nascite, della scolarizzazione
crescente. C'è una popolazione im-migrata che si inserisce nel mercato
del lavoro facilmente. E poi c'è il lavoro nero, come confer-mano
i dati dell'Ispettorato del Lavoro che rimandano ad un percentuale
altissime e crescenti di situazioni di lavoro".
- Ma la situazione non sembra così rosea.
"Certo, c'è anche il volto dell'emergenza. Ad esempio, c'è la tratta
delle donne, una piaga che si sta allargando dalla Nigeria all'Europa
dell'est.. La legge consente un percorso di uscita, ma c'è la difficoltà
per una ragazza di "uscire", di denunciare per paura delle ripercussioni
sul territorio e al proprio paese. Una stretta collaborazione fra
pubblico e privato e una forte interazione fra i diversi servizi
hanno nel corso degli ultimi due anni permesso a diverse centinaia
di queste ragazze di uscirne. Parliamo anche della criminalità organizzata.
Sicuramente legata alla tratta, ma anche al traffico di droga, la
criminalità organizzata - straniera, ma anche di casa nostra - gioca
un ruolo forte nella questione dell'immigrazione. Si pensi a chi
gestisce il passaggio dall'Albania all'Italia o dalla Romania attraverso
la frontiera austriaca, ma ancora a chi si occupa dei giovani maghrebini
e della loro attività di pusher, a chi istruisce e controlla le
donne che sono sulla strada. E' un aspetto dell'immigrazione che
esiste e di cui si è coscienti, ma è solo un aspetto. Il rischio
è quello di generalizzare e di far di tutta l'erba un fascio".
- Esiste però un problema sicurezza?
"La mia sensazione è che sulla sicurezza pubblica ci siamo fatti
prendere la mano: non si distinguono più realtà e proiezione della
realtà, fatti, avvenimenti e lettu-ra unilaterale dei fatti. I media
sono stati i grandi sponsor sia nel gonfiare i fatti,sia nel deviare
l'attenzione. Quando si parla di sicurezza pubblica e sociale si
suggerisce o si sottintende sempre un'unica soluzione possibile:
il controllo sul territorio con la repressione di polizia. Io dico:
inve-stiamo in lavoro sul territorio, in educazione, in cultura,
in dialogo e ricupero almeno quanto in repressione mirata su cose
vere, controllabili. Aiutiamo la gente a non avere paura ma a superarla,
spieghiamo che il colore diverso della pelle, la lingua, la provenienza
non sono simboli di pericolo, ma segni di una diversità che può
arricchire di risorse giovani la nostra società. Con la criminalità
vera, provata, italiana o estera, sono necessari interventi mirati
ed efficaci - non di immagine - di repressione. Ma nel contempo
diamo segnali di accoglienza per chi si inserisce con fatica. Diamo
valore alle esperienze positive, ai tentativi riusciti. Attuiamo
politiche sociali che aiutino a superare il pregiudizio. Insomma,
impariamo a coniugare accoglienza e legalità".
dalla rivista Vol.net n 2 2000
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